Lauro De Marinis, in arte Achille Lauro, è un rapper di origini romane, un amante della musica e un ragazzo di 26 anni dall’immagine fuori dal comune, dotato di una grandissima umiltà e di uno straordinario talento.
Lui, che resta legato al passato e a tutto quello che lo ha portato fino al punto in cui è ora, ci ha parlato della sua musica, dei suoi progetti, delle sue emozioni e dei suoi ragazzi madre.
“Siamo stati cresciuti dai più grandi
Abbiamo cresciuto i più piccoli
I più grandi sono stati padri
I più piccoli sono stati figli
Tutti sulla stessa strada.
Mio fratello è stato come un padre quando un padre non c’era.
Mio fratello muore per me.
Io muoio per i miei figli.
Questi sono i ragazzi madre“.
Con queste parole e attraverso l’obbiettivo del fotografo documentarista Francesco Faraci, Achille Lauro ha deciso di raccontare i “Ragazzi Madre“.
“12 foto per 12 brani. Scatti rubati nelle periferie romane dov’è nato il concept dell’album e dove la solitudine è motore dell’arte”
Il rapper romano ha all’attivo tre dischi: Achille Idol Immortale (2014), Dio c’è (2015) e Ragazzi Madre uscito l’11 novembre 2016 per No Face Agency, etichetta di Lauro stesso.
Il 17 febbraio parte da Milano, ai Magazzini Genarali, il suo “Ragazzi Madre Tour“, che fino al 29 aprile toccherà 16 città italiane.
Chi è Achille Lauro?
Achille Lauro è sicuramente un ragazzo innamorato della musica. Mio fratello è un musicista e guardandolo suonare, insieme al suo gruppo underground, mi sono avvicinato alla musica. Se non fossi stato molto ambizioso, forse sarei rimasto uno “scappato di casa”, ma questo aspetto del mio carattere mi ha permesso di arrivare fin qui. Per me, la volontà e l’ambizione sono il motore di tutto, qualunque cosa uno voglia fare nella vita, è la volontà che fa muovere le cose e nel mio caso anche l’avere qualcosa da dire che potesse colpire qualcuno. Dal primo contratto che ho firmato ad oggi, è sempre stata, ed è tuttora, una crescita graduale, ma resto sempre molto attaccato al mio passato e ai luoghi da dove provengo. Ecco, io credo che l’umiltà sia alla base di tutto, se manca quella, manca tutto!
Come ti sei avvicinato a questo genere musicale?
Direi alla musica in generale, grazie a mio fratello. Avevo 12 o 13 anni quando lo vedevo provare con la sua band. Ho sempre ascoltato diversi generi musicali, di rap italiano sicuramente Marracash e il suo
“Chiedi alla polvere”, che tra l’altro è il mio pezzo preferito. Ora mi sono reso conto, però, che l’etichetta del rapper è una cosa che non voglio, che mi sta stretta e stiamo cercando, come già abbiamo fatto in Ragazzi Madre, di cavalcare l’onda del rappato/canticchiato e di evolverlo dal punto di vista musicale.
Parlaci del tuo disco “Ragazzi Madre”
Ragazzi Madre è sicuramente un nuovo inizio, un nuovo step. Io vengo da un management e questo è il primo disco in cui riesco a mettere insieme un team mio, composto da persone fidate, che spingono tutti in un’unica direzione. Il mio team è formato da persone che vengono da background musicali molto diversi tra loro e lavorando in studio tutti insieme, siamo riusciti a fare un salto importante e originale a livello musicale. Non volevamo portare i soliti pezzi, per così dire modaioli, ma qualcosa che non esiste, che possa rimanere nel tempo… un suono più internazionale. Mi sembra un ottimo obiettivo all’interno del panorama rap italiano.
Chi sono i ragazzi madre?
Alcuni ragazzi si trovano per diversi motivi, chi per scelta, chi per bisogno, in mezzo alla strada da soli, più che di strada, parlo di solitudine e si devono far forza l’uno con l’altro, si devono crescere a vicenda. Io stesso sono stato cresciuto da ragazzi madre che mi hanno insegnato tanto. Il titolo è un paradosso: al di la della copertina dell’album, che rappresenta un ragazzo con gli ovuli in pancia, il concept è più profondo.
Io vengo da un contesto non semplice e sono portavoce di una generazione che si è cresciuta da sé, sia perché è più autonoma e libera, sia perché i fratelli più grandi sono visti come madri agli occhi di quelli più piccoli. Il concept del disco è proprio questo e ha anche un richiamo sociale, nei miei testi parlo dei miei bambini che già a 14 anni si vestono con abiti di marca e vogliono la collanina d’oro. Il tutto rispecchia il mondo da cui provengo, che è sicuramente street e da una parte crudo, ma nel disco l’abbiamo raccontato in un modo diverso, non tanto come protagonisti, quanto più come reporter. Dal punto di vista musicale, invece, abbiamo cercato di mantenere uno standard di musica orecchiabile e piacevole all’ascolto, unita a ritornelli ricorrenti, cercando di rendere il tutto armonico, dai testi alle melodie. L’utilizzo delle melodie e l’armonizzare una nota è una cosa che, nel rap italiano, nessuno fa. All’estero sì, Travis Scott, per esempio, ha iniziato ad usare questa tipologia di melodie più o meno nel nostro stesso periodo.
La tua musica è un’innovazione del rap. Nel momento in cui tutti fanno trap, tu porti un tipo di suono completamente diverso..
Sì, anche se nel disco ci sono sonorità trap, noi le abbiamo intercettate e modificate, creando di fatto un suono tutto nostro. Per esempio, Ulalala è una bella fusion tra trap e raggae.
Qual è secondo te il tuo punto di forza?
La mia forza, negli anni, credo sia stata il fare un tipo di musica completamente diverso. Con Ragazzi Madre ci siamo un po’ staccati dal rap tradizionale e con la musica che stiamo per riproporre, ci sarà un ulteriore cambiamento. Anche l’uso dell’autotune, che io utilizzo dal 2014, inizialmente è stato criticato, ora invece tutti ne fanno uso. Da una parte è una cosa nuova per quanto riguarda il rap ma, in realtà, sono molti gli artisti che già dagli anni ’80 lo usano. Secondo me l’autotune è un upgrade sul pezzo e va pensato in questo modo, come uno strumento, siamo nel 2017 e si fa musica anche attraverso i computer.
I tuoi testi sono tutti autobiografici?
Sì, tutti, perché metto sempre un po’ di me, parlo delle persone che mi stanno intorno, di cose che ho visto e di sensazioni ed emozioni che ho provato… e questo è, forse, un altro dei miei punti forza, perchè ci credo talmente tanto che, quando canto i miei pezzi, li interpreto, perchè in quei minuti li rivivo, un po’ come se fosse musica a teatro. Quando scrivo un testo è come scrivere un libro, butto giù pensieri, riflessioni su quello che ho vissuto in prima persona e su quello che ho visto. Nel disco precedente Dio c’è, mi sono spogliato, messo a nudo e raccontato la mia storia, in Ragazzi Madre, invece, ho voluto fare la parte del reporter, tant’è che alcuni miei amici mi hanno detto “prima o poi ti chiediamo i diritti“.
A quale tua canzone sei più legato?
All’intero disco, perchè ogni pezzo è una sfumatura caratteriale che mi ricorda un preciso momento. Per me, quelle contenute in Ragazzi Madre, non sono canzoni separate, ma le vedo come un’unica intera traccia. Uno dei pezzi della mia carriera a cui sono sicuramente più legato è La bella e la bestia, perché quando scrivo, seguo molto le mie sensazioni e ogni volta che lo riascolto o lo canto, mi emoziono, mi ricordo il momento esatto in cui l’ho scritto, che è stato un momento molto importante per me. Un’altro pezzo ai cui sono molto legato è Lost for life del 2014 che, tuttora, resta uno dei miei preferiti.
Il 17 febbraio inizia il tour di Ragazzi Madre, cosa porti, oltre alla musica ai tuoi live?
Sicuramente uno show studiato bene, che rispecchia il nostro amore per la musica e la cura maniacale con cui siamo soliti lavorare. Nei miei testi non metto solo rime e musica, io metto le mie sensazioni ed è questo il motivo per il quale poi il pubblico si rivede in me e in quello che racconto. Porto la mia storia, quello che ho vissuto in prima persona e quello che ho visto intorno a me e, parlando di me, so di essere lo specchio di tanti ragazzi che nella mia vita e nelle mie parole si rivedono. Porto la vena “fuori di testa“, un po’ punk, con i capelli colorati, l’abbigliamento stravagante e pezzi più scemi, se vogliamo, come Occhiali da donna, uniti al mio lato più emotivo, poetico e introspettivo. Porto me stesso. I live, la mia musica e la mia immagine sono lo specchio di quello che sono io realmente.
A quale evento della tua carriera sei più legato?
Sicuramente la prima volta che ho cantato al Piper di Roma. Quella data è stata organizzata completamente da me con l’aiuto di un mio amico, in cassa ho messa mia mamma, c’erano tantissime persone e a fine serata ho portato a casa 10mila euro. Sono legato a tutte le date che ho fatto finora perchè in ognuna c’è una parte di me ed è una parte di me, ma forse Roma, essendo la mia città, mi emoziona sempre in modo particolare.
Quali sono i tuoi luoghi del cuore di Roma?
Il mio cuore resta nella zona in cui sono cresciuto, il quartiere Val Malaina. Sicuramente il centro di Roma è uno dei posti più belli della mia città, ma io resto legato alla mia zona e tutt’oggi abito ancora lì. Per lavoro vivo a Milano, ma quando torno a Roma, torno nel quartiere in cui sono cresciuto, che si trova a quaranta minuti dal centro.
A quale domanda azzardata risponderesti why not?
A tutto. Io sono un po’ come “Yes man” nel film di Jim Carrey.
Una cosa è certa, i ragazzi madre che hanno cresciuto Lauro, hanno fatto un ottimo lavoro, così come lui lo ha fatto nel crescere i suoi “bambini”.
Ragazzi Madre Tour parte domani, 17 febbraio, dai Magazzini Genarali di Milano e ha già registrato sold out per questa prima data.