Oggi è il turno di un designer italiano dal cognome pesante.
Sto parlando di Danilo Paura, con il quale ho passato un bellissimo pomeriggio su FaceTime in compagnia di Nicolas, suo collaboratore.
Danilo parla tantissimo e non è mai banale, un fiume di informazioni, aneddoti e tanto altro. Più che un’intervista, mi è sembrato di esser tornato ad esattamente un anno fa quando seguivo l’opzionale di moda all’Università. Vorrei essermi laureato con 90 per poter fare un gioco di parole e continuare a introdurre Paura, ma ahimè sono stato un filino più bravo. (per i più curiosi lascio il link di Linkedin a fine intervista). Scherzi a parte, lui è un visionario, con un’idea ben chiara di quello che sta facendo o farà e di quello che deve o dovrà trasmettere al pubblico. Scopriamolo insieme.
Ciao Danilo, come procede la quarantena? Il tuo lavoro richiede indubbiamente tanta ispirazione. Ti affidi specialmente a libri, film e musica: è dunque un periodo florido dal punto di vista artistico o la noia sta prendendo il sopravvento?
Non mi sono mai curato cosi tanto di me stesso come in un questo periodo: restrizione e isolamento richiedono sacrificio, prese di coscienza e forse anche momentanei test attitudinali. Si impara ad analizzare il quotidiano sotto altri occhi, ad elevare ciò che ci circonda nel nostro piccolo, ad entrare in una sintonia quasi empatica con la parola casa e quello che ne conviene. Io calcolo il tempo, lo calcolo per ogni cosa; le attività sono tante, lo scenario è uno solo ma le ispirazioni non devono venir meno. Mi tengo fisicamente allenato e, allo stesso tempo, cerco stimoli più intangibili attraverso la lettura piuttosto che con il cinema o con la musica, parte integrante dell’intera giornata. (vi segnalo poco più giù qualche traccia che mi accompagna regolarmente). Poi prendete Alex Honnold nel documentario “Free Solo” quando scala El Capitan, uno strapiombo di 900 metri nello Yosemite con il solo utilizzo delle sue mani. Questo è molto più di gesto atletico. Come Alex, io mi adatto, evolvo e tento di bastarmi. Ma non solo, questo mi aiuta poi ad instaurare un dialogo più consistente e collaborativo con il mio team e con tutte le persone con cui mi relaziono. Vorrei infine presentarvi un libro del filosofo italiano Lorenzo Magnani, “Conoscenza come dovere – Moralità distribuita in un mondo tecnologico”: vi siete mai chiesti se state realmente utilizzando la tecnologia come un supporto positivo? Avete mai pensato di sentire un dovere di informazione che trascende dal mero piacere? Io si, e in questo periodo questa necessità è esplosa dentro di me.
BONUS TRACK:
Coronavirus e la moda dopo la pandemia. Come risponderà il fashion system e in che modo si muoverà Paura? Raccontaci il tuo punto di vista.
Al momento sono più che preoccupato ma allo stesso tempo ho molta fiducia per il futuro e prima o poi ci saranno dei benefici. Ritengo che negli ultimi anni il sistema abbia vissuto uno dei momenti più bassi della sua esistenza in termini di contenuti. A partire da questo momento, ahimè, a causa di una pandemia ci sarà un netto cambiamento: la moda dovrà dire qualcosa, vinceranno i brand che hanno una storia da raccontare e che utilizzeranno la moda stessa come linguaggio. Questo storytelling ci allontanerà dalla noia, dal piattume e dall’omologazione degli ultimi anni e a beneficiarne sarà la parte artistica a discapito di quella numerica ed economica. D’altro canto come anticipato sono preoccupato. Il sistema moda Italia perderà tanto considerando che noi aziende facciamo dell’artigianalità e delle piccole medie imprese la nostra forza lavoro e dovremo affrontare una non banale crisi del sistema produttivo. Come risponderà il sistema? Cambierà radicalmente, sarà qualcosa di nuovo per tutti e ogni player troverà una soluzione personale. Sarà un sistema più sano e nuovo e, come ogni novità, porterà una ventata d’ossigeno della quale probabilmente necessitavamo da anni nel nostro paese. Nonostante subiremo almeno 18 mesi di depressione economica, ne beneficeremo nel lungo termine. Noi, e parlo da direttivo creativo di un brand, abbiamo l’obbligo di preservare e seguire la nostra direzione, una direzione propria e personale. Sono felicemente obbligato a seguirla. Noi come gruppo invece agiremo attivamente, siamo pronti e volenterosi ad affrontare questa recessione. Non ci fermeremo alle difficoltà, siamo italiani anche per questo e sappiamo rimboccarci le mani. Voglio fare un esempio: la nazionale del 2006. Qualità a parte, la Coppa del Mondo l’ha alzata un gruppo unito e determinato che credeva fortemente in un obiettivo. Dobbiamo sentirci così.
Quando hai capito che questa era la strada giusta per Danilo? Sogno nel cassetto o necessità? Necessità intenso come “vetrina della propria arte”.
Non potevo saperlo ma avevo una piccola grande sicurezza: per vivere in maniera felice dovevo fare qualcosa che avesse a che fare con l’arte. Estetica, immagine e mai superficialità dovevano essere le basi per il mio futuro. Sentivo il bisogno di esprimere me stesso attraverso un linguaggio che non si fermasse al verbo, ma che approcciasse alla visione estetica delle cose. Ho sempre prediletto la forma dall’utilizzo: tra una cosa con funzionalità ma priva di estetica e una cosa con funzionalità scomoda ma esteticamente appagante io purtroppo preferisco la seconda. Vengo appagato dalle forme come vengo appagato dall’attenzione al dettaglio e per questo ho capito che la mia direzione era quella. Ma non avrei mai detto che sarei diventato uno stilista / direttore creativo. Sapevo che dovevo fare qualcosa e soprattutto metterci la faccia. Da bambino avevo bisogno di uscire fuori dal sistema, dall’omologazione e dai limiti imposti da territorio, educazione o classe sociale. Sono sempre uscito fuori e col tempo ho avuto la fortuna mediante questa forma d’arte di esprimere me stesso. Oggi la mia persona è il mio lavoro e viceversa. Vivo lavorando e lavoro vivendo ed è la cosa più bella che possa succedere. Abbatte il tempo, potrò fare questo a vita perché faccio quello che sono. Se mi sento realizzato? Io arrivo la sera che sono stanco e mi sveglio la notte perché sono preoccupato. Quindi si, questo vuol dire che mi sento realizzato. Se non fosse così mi verrebbero dubbi esistenziali che non ho. La cosa che più mi piace del mio lavoro? Posso scegliere le persone di cui fidarmi e dalle quali arricchirmi. Parlo molto ma adoro ascoltare gli altri. Vedi Nicolas. Questo è un aspetto meraviglioso del mio lavoro.
FENDI MATCHO DANILO PAURA: come nasce questa capsule con Rosa Chemical?
Rosa è l’artista più lontano da me sia a livello di gusto musicale che estetico. Siamo completamente diversi ma abbiamo una cosa in comune: mettiamo entrambi la faccia in quello che facciamo. Inoltre è un brand totale. Non si sofferma al testo, alla musicalità e ai video. Mi incuriosisce tanto. Arrivata la traccia, l’ho ascoltata immediatamente non capendo se mi piacesse o mi facesse schifo. E questa è una cosa molto positiva, non scontata. Così ho girato il link ai ragazzi, abbiamo visto il video e ho detto “cavolo, lui mi piace!”. La canzone prende forza quando vedi il video, ha un senso estetico.
Nicolas ci interrompe: Aneddoto legato al destino, nel video c’è una roulotte e la nostra collezione FW19 era ispirata a Snatch – Lo strappo, con figura chiave la roulotte.
Incredibile questa cosa! – continua Danilo. Un altro aspetto che apprezzo è l’irriverenza che esprime: prendersi poco sul serio significa avere il coraggio di fare sarcasmo su se stessi. Questa è una forza di un’autorevolezza gigantesca e tutte le persone che non si prendono sul serio meritano di essere ascoltate e osservate.
Tornando al discorso musica. quel genere a me fa cacare e sarebbe preoccupante se non fosse così. Sono rimasto me stesso anche in quello. Ho 40 anni, non sono più un ragazzino e con Rosa Chemical ci togliamo un po’ di generazioni. Se ascoltassi a palla quella musica probabilmente è perché ho perso qualcosa nel mio percorso. D’altra parte trovo geniale e artistico ciò che fa un ragazzo di 18, 20 o 40 anni se in linea col proprio pensiero e Franco ha un pensiero artistico che esprime abbastanza bene. Così ho deciso di prendere l’istituzionalità di Camera dei Buyer, fondendola a noi che abbiamo preso il rischio in maniera auto-ironica di utilizzare quasi illecitamente la parola Fendi accanto a quella Paura. Abbiamo aperto le porte e oggi, se le apri, vinci. Infatti abbiamo avuto un grande consenso.
Sembra banale, ma abbiamo lavorato veramente sodo e inoltre Rosa è stato meraviglioso. A casa PAURA si lavora così.
Musica e moda da – quasi – sempre a braccetto e oggi sembra essersi creato un legame quasi simbiotico. Qual’è la tua playlist in rotazione?
Musica e moda sono indivisibili, da sempre. Vedi Madonna, Kurt o Jim Morrison quanto hanno condizionato il sistema moda negli anni. Credo che la musica sia la colonna sonora della vita di ognuno. Vedi i film, sono legati alle colonne sonore. E la vita è un pò un film e la colonna sonora del tuo film è dettata da quanta cultura musicale hai. Io ascolto tantissima musica ma non riuscirei a immaginarmi un unico genere o un unico artista. Spazio da Mick Jagger, Herbie Hancock fino a Coez o Battisti. Faccio delle mie playlist un’esigenza e la musica è per me come un frigorifero dove trovi la Red Bull, un whisky o l’acqua. A seconda delle mie esigenze, appunto, prendo qualcosa e la ascolto. Creo tantissime playlist, come puoi immaginare sono un po’ maniacale. Ho però un limite: non sopporto la musica di merda.
Sei un fanatico del calcio, il tuo IG lo testimonia a tratti. Ti piacerebbe un giorno collaborare con una società sportiva? Se si, quale?
Purtroppo sono Juventino, purtroppo da sempre. Dico purtroppo perché odio lo stereotipo del tifoso della Juventus, mi definisco uno Juventino atipico. Ho avuto la fortuna di lavorare per la Juve in un progetto che mi ha dato grandissime soddisfazioni. Non posso negare però che legarmi stilisticamente al calcio rappresenterebbe un grosso peso, non appartiene molto al mio senso estetico. Se mi dicessi cosa ti piacerebbe fare nel calcio, di sicuro disegnare la maglia del Napoli. Mi piacciono i Napoletani e li reputo geniali. Sono i più italiani di tutti. Spaccherebbe!
Oggi la sostenibilità rappresenta un punto cardine nelle imprese della moda, non più un mero vantaggio competitivo ma una componente basilare delle dinamiche aziendali. Danilo Paura si è avvicinato o si sta avvicinando a queste tematiche?
Tu mi chiedi sostenibilità? Io invece ti rispondo con etica. Basterebbe dare un valore etico alle cose e questo mondo risolverebbe l’80% delle cose, tra le quali la sostenibilità. Credo che la mia azienda sia maggiormente focalizzata sul valore etico perché credo di poter essere più forte in quello. Sono un po’ più pratico e dico che in questo modo una cosa la posso fare: posso trasmettere un messaggio etico. Se tutti avessero il mio stile di vita non ci sarebbe nemmeno il bisogno di parlare di sostenibilità. Come se tu mi chiedessi “credi nella differenziata?”. Dovrebbe essere la normalità, un po’ come dire “che bravo mi hai salutato!”. Eh no, lo faccio perché è la normalità. Un altro aspetto da sottolineare è quello del greenwashing: negli ultimi anni tanti hanno usato parole come “riciclo”, “riutilizzo” o “sostenibilità” come un’azione di marketing. Io personalmente sono anni che faccio determinate cose nelle mie collezioni senza dirlo. Esempio, uso il tencel da anni ma mi sono sempre imposto di non mettere un cartellino che lo certificasse. Credo ci sia una regola da rispettare: o si fa una cosa veramente e totalmente verso una direzione oppure quella cosa non serve a niente. Mi sentirei ipocrita a dire di fare una cosa totalmente per il pianeta. Voglio fare del mio brand il riflesso di me stesso e so che in questo modo posso fare meglio di chi sfrutta la bandiera dell’ecosostenibilità per fare marketing. Odio questo aspetto. Quindi l’etica salva il pianeta, ti educa a prevedere ciò che necessita di essere tutelato.
La PAURA fa 90. Il 2020 invece?
Se la paura fa 90, il 2020 fa PAURA.
A quale proposta azzardata risponderesti WHY NOT?
Accetterei di fare il Grande Fratello dopo la quarantena. Potrei anche vincere.
Intervista a cura di Francesco Alberani