Kamilla è una giovane artista di origini molisane ma milanese d’adozione. Spesso si carica le sue bombolette spray in spalle e parte: va dove la porta l’arte.
Personalmente sono anni che seguo il suo lavoro e le sue sperimentazioni nonché evoluzioni, ma tutti abbiamo potuto ammirare la sua pittura anche grazie al progetto Energy Box, che ha visto lei e gli altri street artist dare colore alla città.
Eppure fra i suoi “strumenti” non ci sono solo gli spray: digitando nome e cognome sul web, subito salta all’occhio la sua versatilità come artista a tutto tondo, con dipinti, disegni e illustrazioni. Noi di Why Not Mag volevamo saperne di più e far conoscere meglio il grande talento di una piccola ma esplosiva artista.
– Ciao Kamilla con la K, vorremmo sapere qualcosa in più di te. Raccontaci della tua vita prima di Milano, il percorso che hai fatto e cosa ti ha spinta a partire.
Prima di Milano, ero più bassa, con le guanciotte e le mani tozze. È al Liceo Artistico che la mano – non la testa – si è affinata, nell’aspetto e nel tratto, impostandosi su caratteristiche accademiche: precisione, rigore, pazienza, pulizia, ma anche personalizzazione. Ho ricevuto l’impronta giusta per aspirare al meglio e il mio metro di paragone non è mai sceso; perché, se io non mi sentivo grande abbastanza, erano i miei genitori a saperlo prima di me.
Ho scelto la città che avrebbe potuto dare un valore aggiunto a quei disegni, chiusi nella cartella 50×70. Così, me la sono caricata. Mica la potevo tenere dal manico io: dovevo portarla da sotto, sennò toccava per terra, come i pantaloni.
E così ho fatto, sono partita verso il mondo dove che c***o ne sapevo io che “rustico” si dice “torta salata”: la comunicazione. Infondo, bisognava solo cambiare canale, sulla stessa rete.
– Qual è la tua forma d’arte preferita? Preferisci il grande spazio di un muro ad una tela o ad un foglio di carta?
Kami in giapponese vuol dire carta: tutto parte da lì, dalla materia, dalla sua capacità di assorbire e ributtare fuori tutto quello che sente. Dio, quanto mi piacevano le paroline magiche “fotosintesi clorofiliana”. Voglio dire, che avremmo mai disegnato noi senza gli alberi?
Ok, sto divagando. Volevo solo dire che il disegno su carta è alla base della mia passione.
Detto ciò, devo ammettere di essere lunatica e di andare a periodi. Ce n’è stato uno in cui non vivevo senza gli acquerelli e gli acrilici: la pittura mi permetteva di esprimermi in maniera mai condizionata, se non, a volte, dalla casualità.
L’aerosol negli ultimi anni ha preso il sopravvento, nei miei polmoni soprattutto. Sul muro le potenzialità del colore e dei suoi accostamenti sono massime: sia per la superficie, una scoperta sempre diversa a cui adattarsi, sia per la vernice, tanto pura quanto versatile.
Gli spray hanno la capacità di essere reinventati a tuo piacimento, in base al trattamento che vuoi dare al pezzo; ma soprattutto riescono, come pochi strumenti d’arte, a mio parere, a reinventarti: hanno il potere di farti sperimentare senza che tu te ne accorga, arricchiscono il tuo stile, il tuo modo di vedere il disegno, la pittura, la grafica, la fotografia. Mi hanno abituata ad una visione del particolare e dell’insieme difficile da avere su superfici ridotte. La grandezza del muro spaventa, ma soddisfa.
Cosa preferisco? Beh, un mix. Sarà l’influenza del mio lavoro da graphic designer, ma sono dell’opinione che, se si parte da un buon disegno, il passaggio al digitale sarà una bomba.
– Spesso ti è capitato di partecipare a jam ed eventi di live painting musicali. La musica ti è d’aiuto? Ti è mai capitato che i tuoi soggetti ne fossero tanto influenzati?
La musica. Aspetta, che mi siedo, mi tremano le gambe. Ti basta?
È un’arte e, come tale, anch’essa è capace di toccare punti nascosti – con e senza malizia. Suscita emozioni, che, vuoi o non vuoi, cambiano il tuo approccio alla disciplina, a maggior ragione se in un contesto come quello di un evento, in cui di rumori ce ne sono mille altri, di gente ce n’è tanta, con tutti i lati positivi e negativi che questo comporta. Potrei solo dirti che una jam senza musica non è una jam. Questo, beh, o ti salva o ti rovina, come gli amici che hai con te.
Mi è capitato di vedere artisti faccia al muro e cuffie nelle orecchie: non ho mai apprezzato quest’abitudine, anzitutto per il significato di unione – non di solitudine – che c’è alla base di questi incontri. Eppure con il tempo ho capito che l’approccio è fin troppo personale: certe scelte musicali e artistiche superano quelle umane.
– Sei citata in un libro, Scrivere di Writing – Note sul mondo dei Graffiti di Giada Pellicari. Ti ci rivedi a pieno?
Nel primo capitolo, si dedicano alcuni paragrafi alla diffusione del Writing femminile e, più nello specifico, alla critica degli scritti di una studiosa – donna – che sottolineava la prerogativa maschile nella forma culturale del Writing. Mentre qui la scrittrice difende la categoria. Condivido e sono felice di farne parte. Approfitto, però, per sottolineare che personalmente non posso definirmi né writer né street artist.
Mi basta dire che disegno corpi, mani, visi, che spesso comprendono elementi di richiamo alla cultura in cui credo. Con l’avvento della street art, si è visto come la parte figurativa si sia diffusa e spesso confusa, forse proprio perché arriva molto di più alle persone, i reali fruitori dell’ambiente urbano, estranei a questo mondo.
Ecco perché preferisco non mettere un timbro sulla fronte di qualcuno in base agli strumenti che utilizza e allo stile che sceglie. Non perché sia più facile, anzi, trovo più facile dare una definizione e chiudersi in essa, rispetto al sapersi aprire alle azioni collaterali al Writing, che hanno portato molti writer a poter lavorare con la propria passione.
Ahimè, la mia età fa sì che sia nata in un contesto in cui la diffusione di questa disciplina e della cultura Hip Hop già si stava allargando, fin troppo, tanto da poter essere vista io stessa come una delle tante. Eppure, non mi preoccupo. Questo, come ogni tipo di fondamento culturale deve farsi strada fra le tendenze, rischiando di cadere, ma anche di spiccare. Sta a noi saper distinguere chi ci crede.
– Cosa ne pensi dell’avvento della street art nelle città italiane? Il progetto Energy Box come altri a cui prendi parte credi abbiano un forte ruolo in questa rivalutazione?
Penso che era ora. Anche se il concetto di riqualificazione urbana attraverso l’arte ancora non arriva ben chiaro, soprattutto nelle grandi città. Capita che sui giornali escono solo gli eventi saltuari che accadono nelle metropoli, ma la gente che viene da piccole realtà è spesso più aperta a certi avvenimenti, oltre ad essere più disposta a fornire spazi di lavoro.
A Milano l’Energy Box ha dato molto da parlare, trovando tanti punti nel tessuto urbano su cui intervenire contemporaneamente: le cabine semaforiche, quelle che io stessa ero solita ignorare perché ormai parte dell’arredo.
In queste occasioni credo ci siano tre tipologie di reazione nel cittadino, che lo caratterizzano e spesso cambiano l’approccio dell’artista alla giornata di lavoro.
C’è il tradizionalista: famosissimo per il suo attaccamento a Brera. L’arte non può uscire da quelle mura, sennò sporca.
C’è il dubbioso: quello che non sa cosa dire ai proprio figli perché è incuriosito, vede del potenziale, eppure viene annebbiato dal pensiero della faccia della nonna, quando, durante il pranzo domenicale la bimba dirà “lo sai che oggi davanti scuola c’era una tipa che colorava con le bombolette e non una grossa m***a di cane?”, e decide di filarsela e dimenticare, sperando che la figlia abbia fatto lo stesso.
C’è il barbaro (d’Urso): quello che chiede se hai un’autorizzazione e tu inizi a spiegargli tutto il progetto, sorridendo, nonostante ti sia caricata trenta spray sulla bicicletta e ti stia sciogliendo dal caldo dalle 8 di mattina seduta sull’asfalto; lui rimane fermo un minuto e poi esordisce “ma tu non le puoi fare queste cose, l’ho visto alla televisione”.
E poi, l’immancabile critico: quello che mentre ti sta palesemente fissando il sedere, dice “ma ti pagano? Come no! Bla bla bla bla… Comunque brava.”
Bando all’ironia, c’è chi ha apprezzato e mi ha fatto passare meglio la giornata e chi ancora una volta collega la bomboletta spray ad oggetto di vandalismo.
Pazienza, io ci metto del mio. Poi, le vie dell’ignoranza sono infinite.